Come in una leggenda
Tempo di Valore

Come in una leggenda

Finalmente si può ricominciare a viaggiare, dove dirigersi? Per chi volesse lasciarsi ammaliare dal sapore delle leggende, dai colori puri e dalla leggerezza, le 18 minuscole isole Fær Øer sono la meta perfetta.
Data
16.09.2021

Finalmente si può ricominciare a viaggiare, dove dirigersi?

Sulle 18 minuscole isole Fær Øer dove ogni dibattito mondiale, anche il più importante, appare irrilevante e borioso d’insignificanza alle 80.000 pecore che abitano questo arcipelago danese.

L’isola delle pecore

Un numero considerevole, specie se si considera che le persone che vivono “sull’isola delle pecore”, a 300 km dalla Scozia, 600 km dalla Norvegia e 430 km dall’Islanda, si ferma a 49.000. Questa è una delle prime informazioni che si apprendono quando, in vista della grande avventura, si è curiosi di notizie. Complice anche questa scarsa reperibilità di informazioni, non è arduo comprendere come mai, nel pre partenza, si avverta il resfeber, secondo Ella Sanders nel libro Lost in Tranlastion un misto di ansia e aspettativa pre partenza. Alle Fær Øer non esistono quasi per nulla piante, mentre invece abbondano il brugo color lilla e le orchidee selvatiche, oltre al muschio e all’infinito tappeto d’erba che piace parecchio agli ovini. Se dunque fantasticare sulle Faroe è già di per sé un viaggio, le 18 isole ai vertici delle mete più rinomate secondo Forbes, con voli diretti regolari da Danimarca, Inghilterra, Islanda e Norvegia, si presentano al visitatore sotto forma di realizzazione disillusa delle aspettative: quando si atterra a Vágar, la sensazione è di piombare, senza riserve, in un quadro grigio surrealista nel quale non c’è protagonista. Si scorgono intere vallate di gradazioni di verde, che si fanno sempre più scure sul template man mano che la golden hour s’avvicina, e le ultime punte di giallo chartreuse disseminate sulle rocce si abbandonano sempre più ai toni fosforescenti della luna che s’infrange violenta sulle scogliere. È buio. Fatta eccezione per qualche rigurgito d’acqua improvviso non esistono altri suoni nella notte.

Un fitto programma

I giorni si animano con un programma fitto: il primo si visita il villaggio di Gásadalur, in cui le tipiche beccacce di mare si rincorrono esibendosi in piroette davanti alla cascata-cartolina Múlafossur, che si getta direttamente nell’Atlantico. È poi il turno di Bøur, con le casette di torba e le lenzuola nivee che sventolano senza sosta, rivolte verso Risin e Kellingin, le rocce del “gigante e della strega” protagoniste di una leggenda del posto. Per chi avesse familiarità con Big Sur di Jack Kerouac, non c’è luogo migliore della tappa successiva, Tjørnuvík, per apprezzare le intuizioni generate dai piccoli rumori della natura. Con un waffle e una cioccolata calda, sulla spiaggia del villaggio più a nord dell’isola di Streymoy, si spia il fragore del vento, per poi osservare dei resti vichinghi in un piccolo museo a cielo aperto. Si raggiunge Kirkjubøur, che fu residenza episcopale nel Medioevo, mentre ora trasmette il sentore di una nenia infagottata di grigio cadetto e corvino, ed è poi il turno di Sørvágsvatn, con l’incredibile lago a picco sull’oceano. Il secondo giorno la capitale, Tórshavn, si presenta come il luogo in cui esiste veramente della gente, oltre a negozi, banche, uffici, ristoranti, pub, librerie! Non a caso, più della metà della popolazione faroese risiede qui. Con le casette variopinte che si specchiano nei riflessi narcisistici del porto, ricorda Nyhavn a Copenaghen. A Suduroy, dopo un trekking si raggiunge il faro di Akraberg, il punto più meridionale delle isole Fær Øer. I giorni successivi si visitano Eiði, Gjóg e Funningur ed è la volta di scalare la vetta più alta dell’arcipelago: lo Slættaratindur, 882 metri. La vista mozzafiato di cui si gode dall’alto (con il sereno è possibile scorgere il ghiacciaio islandese Vatnajökull), accompagnata dalle pecore di passaggio, lascia letteralmente senza fiato. A Klaksvík, altro “centro nevralgico” d’interesse mondano, c’è un festival, pieno di schiamazzi rari e birre del posto. Ma ciò che, se si va alle Faroe, non può mancare, è una visita a Mykines: conta 14 abitanti, ma in compenso ci vivono migliaia di puffin. Il becco e le zampe arancioni ricordano un pappagallo, ma il piumaggio bianco e corvino fa venire in mente un pinguino: nulla di più suggestivo che incontrarli, avventurandosi su per la montagna fino al ponte Atlantarhavsbrugvin, che, traballando sopra all’Atlantico, collega alla cresta dalla quale si scorge il faro, simbolo delle isole danesi. Con scogliere a piombo sull’oceano, nulla resta più appagante di questa visione sospesa in un racconto antico, che si tramanda di generazione in generazione con i sospiri del vento.

Il calore del nord

Le isole Fær Øer, di cui solo Lítla Dímun disabitata, attraggono l’attenzione della gente per diversi motivi: gli immensi spazi vuoti, le leggende celtiche dai richiami ancestrali aggrappati alla natura priva di contaminazioni, l’idea felice di una sosta accompagnata da una bevanda fumante per ripararsi dalle temperature gelide, che si aggirano tra i 3-4 gradi d’inverno e i 9-11 d’estate. Non smettono di stupire quando Durita Dahl Andreassen, per far comparire visivamente le località su Google, ha installato uno zainetto high-tech con fotocamera 360 gradi addosso alle pecore, le quali girando liberamente per l’arcipelago scattano delle fotografie, che compaiono direttamente su Street View.

Insomma, per chi volesse lasciarsi ammaliare dal sapore delle leggende, dai colori puri e dalla leggerezza che solo un arcipelago disperso nell’Atlantico può regalare, non resta che prenotare. Ne deriveranno grandi intuizioni e mirabili ricordi di quello Zeitgeist che solo le isole Fær Øer sanno regalare.

Condividi su

Newsletter Esagon

Un appuntamento mensile per rimanere sempre aggiornati su economia, finanza, lifestyle e temi green.

Mi iscrivo