
Come in una leggenda
Finalmente si può ricominciare a viaggiare, dove dirigersi?
Sulle 18 minuscole isole Fær Øer dove ogni dibattito mondiale, anche il più importante, appare irrilevante e borioso dinsignificanza alle 80.000 pecore che abitano questo arcipelago danese.
Lisola delle pecore
Un numero considerevole, specie se si considera che le persone che vivono sullisola delle pecore, a 300 km dalla Scozia, 600 km dalla Norvegia e 430 km dallIslanda, si ferma a 49.000. Questa è una delle prime informazioni che si apprendono quando, in vista della grande avventura, si è curiosi di notizie. Complice anche questa scarsa reperibilità di informazioni, non è arduo comprendere come mai, nel pre partenza, si avverta il resfeber, secondo Ella Sanders nel libro Lost in Tranlastion un misto di ansia e aspettativa pre partenza. Alle Fær Øer non esistono quasi per nulla piante, mentre invece abbondano il brugo color lilla e le orchidee selvatiche, oltre al muschio e allinfinito tappeto derba che piace parecchio agli ovini. Se dunque fantasticare sulle Faroe è già di per sé un viaggio, le 18 isole ai vertici delle mete più rinomate secondo Forbes, con voli diretti regolari da Danimarca, Inghilterra, Islanda e Norvegia, si presentano al visitatore sotto forma di realizzazione disillusa delle aspettative: quando si atterra a Vágar, la sensazione è di piombare, senza riserve, in un quadro grigio surrealista nel quale non cè protagonista. Si scorgono intere vallate di gradazioni di verde, che si fanno sempre più scure sul template man mano che la golden hour savvicina, e le ultime punte di giallo chartreuse disseminate sulle rocce si abbandonano sempre più ai toni fosforescenti della luna che sinfrange violenta sulle scogliere. È buio. Fatta eccezione per qualche rigurgito dacqua improvviso non esistono altri suoni nella notte.
Un fitto programma
I giorni si animano con un programma fitto: il primo si visita il villaggio di Gásadalur, in cui le tipiche beccacce di mare si rincorrono esibendosi in piroette davanti alla cascata-cartolina Múlafossur, che si getta direttamente nellAtlantico. È poi il turno di Bøur, con le casette di torba e le lenzuola nivee che sventolano senza sosta, rivolte verso Risin e Kellingin, le rocce del gigante e della strega protagoniste di una leggenda del posto. Per chi avesse familiarità con Big Sur di Jack Kerouac, non cè luogo migliore della tappa successiva, Tjørnuvík, per apprezzare le intuizioni generate dai piccoli rumori della natura. Con un waffle e una cioccolata calda, sulla spiaggia del villaggio più a nord dellisola di Streymoy, si spia il fragore del vento, per poi osservare dei resti vichinghi in un piccolo museo a cielo aperto. Si raggiunge Kirkjubøur, che fu residenza episcopale nel Medioevo, mentre ora trasmette il sentore di una nenia infagottata di grigio cadetto e corvino, ed è poi il turno di Sørvágsvatn, con lincredibile lago a picco sulloceano. Il secondo giorno la capitale, Tórshavn, si presenta come il luogo in cui esiste veramente della gente, oltre a negozi, banche, uffici, ristoranti, pub, librerie! Non a caso, più della metà della popolazione faroese risiede qui. Con le casette variopinte che si specchiano nei riflessi narcisistici del porto, ricorda Nyhavn a Copenaghen. A Suduroy, dopo un trekking si raggiunge il faro di Akraberg, il punto più meridionale delle isole Fær Øer. I giorni successivi si visitano Eiði, Gjóg e Funningur ed è la volta di scalare la vetta più alta dellarcipelago: lo Slættaratindur, 882 metri. La vista mozzafiato di cui si gode dallalto (con il sereno è possibile scorgere il ghiacciaio islandese Vatnajökull), accompagnata dalle pecore di passaggio, lascia letteralmente senza fiato. A Klaksvík, altro centro nevralgico dinteresse mondano, cè un festival, pieno di schiamazzi rari e birre del posto. Ma ciò che, se si va alle Faroe, non può mancare, è una visita a Mykines: conta 14 abitanti, ma in compenso ci vivono migliaia di puffin. Il becco e le zampe arancioni ricordano un pappagallo, ma il piumaggio bianco e corvino fa venire in mente un pinguino: nulla di più suggestivo che incontrarli, avventurandosi su per la montagna fino al ponte Atlantarhavsbrugvin, che, traballando sopra allAtlantico, collega alla cresta dalla quale si scorge il faro, simbolo delle isole danesi. Con scogliere a piombo sulloceano, nulla resta più appagante di questa visione sospesa in un racconto antico, che si tramanda di generazione in generazione con i sospiri del vento.
Il calore del nord
Le isole Fær Øer, di cui solo Lítla Dímun disabitata, attraggono lattenzione della gente per diversi motivi: gli immensi spazi vuoti, le leggende celtiche dai richiami ancestrali aggrappati alla natura priva di contaminazioni, lidea felice di una sosta accompagnata da una bevanda fumante per ripararsi dalle temperature gelide, che si aggirano tra i 3-4 gradi dinverno e i 9-11 destate. Non smettono di stupire quando Durita Dahl Andreassen, per far comparire visivamente le località su Google, ha installato uno zainetto high-tech con fotocamera 360 gradi addosso alle pecore, le quali girando liberamente per larcipelago scattano delle fotografie, che compaiono direttamente su Street View.
Insomma, per chi volesse lasciarsi ammaliare dal sapore delle leggende, dai colori puri e dalla leggerezza che solo un arcipelago disperso nellAtlantico può regalare, non resta che prenotare. Ne deriveranno grandi intuizioni e mirabili ricordi di quello Zeitgeist che solo le isole Fær Øer sanno regalare.
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